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LUIGI ANDREOCCI. Con indefesso travaglio lasciò molti volumi, in cui trascrisse gli annali di Città di Castello, e tradusse nel volgare linguaggio gli antichi atti degli archivj, onde poter consultarsi da tutti. Nel saccheggio della Città furono questi volumi sconvolti, e ora sono stati acquistati dal Vescovato.

L'Avv. NICCOLÒ BURATTI. Lasciò in casa Mancini molti materiali di storia patria.

Lo stesso fece D. ALESSANDRO Suo figlio nei copiosi suoi mss. L'Avv. GIUSEPPE SEGAPELI. Lasciò varie memorie sulle cose patrie alla casa Mancini.

FRANCESCO CAP. MANCINI. Compilò un compendio di storia patria destinato pel perugino Orlandi, che comincio a scrivere sulle Città d'Italia un' opera, di cui si divulgarono soli tre tomi impedito l'Orlandi dalla morte. Questo compendio esiste in casa Mancini. D. GIULIO CAN. MANCINI. Figlio del sullodato Francesco fu infaticabile collettore di cose patrie. Lasciò 1. tre tomi in 4 « Opera storico - diplomatica sú i rapporti delle famiglie dei Marchesi del Monte e Petrelle con la Comune Tifernate tutta appoggiata alla produzione di carte diplomatiche arricchite in gran parte dalla storia patria. Mss. 2. La genealogia storica della famiglia Guelfucci, da cui fa discendere il Pontefice Celestino II. Mss. 3. Due tomi in foglio di Abecedarj, dove sono registrati tutti i nomi di famiglie notati nelle pergamene capitolari con estratto di quanto s' incontra di storia civile ed ecclesiastica. Mss. 4. Un tomo simile estratto dall'Archivio de' Notari dal 1337. al 1540. mss. 5. Due tomi in foglio, dove sono a registro tutti i doeumenti storici estratti da tutti gli archivj della Città disposti a secolo per secolo con un direttorio per vedere ciò che spetta a ciascun anno. Mss.

Dagli accennati scrittori tifernati vengono talvolta citati altri anteriori ad essi, come sono Giacomo Felcini, Ser Santi Vitelli, Filippo Castagnari, Pompeo di Gio. Mattia del Monte, i ricordi di Bartolomeo del Monte, Gio. Vincenzo Priore Borghesi ecc. Gli scritti di costoro o sono periti o pasăli a mani incognite.

In'fatto 'manca un corpo intero di storia civile tifernate. Sarebbe stato nel caso di scriverla il sopralodato Can. Man'cini, ma giunto alla età di 70. anni la morte lo tolse a collegare i tanti documenti dislocati.

Protesto, che mio animo non fu mai il proposito primario di compilare una storia civile tifernate, soltanto presento al publico tuttociò, che ho potuto raccogliere di civile nel mio scopo principale di conservare le memorie ecclesiastiche tifernati.

CAPO II.

PROSPETTO CIVILE DI CITTA' DI CASTELLO NEI SECOLI XI. XII. XIII.

Varj brani dell'antica storia di Città di Castello sotto gli antichi Romani, il regno de' Goti, il regno de' Longobardi, e il dominio Pontificio furono accennati nella Dissertazione preliminare e nelle memorie di S. Florido Vescovo, e de' Vescovi successori sino al secolo XI. In questo secolo cominciano ad esistere documenti storici patrii, che forniscono gli archivj del Vescovato e della Canonica Tifernate. L'archivio segreto della Comune ci somministra documenti di storia al principio del secolo XII. L'archivio publico poi non ha istromenti più antichi del secolo XIII.

A bene intendere qual fosse lo stato civile di Città di Castello nel secolo XI. e seguenti rammentar si deve, che nelle Città d'Italia era rimasto in uso quel sistema de' popoli stranieri, de' Goti specialmente e de' Longobardi, che distrussero l'impero romano, cioè un sistema militare, dove il soldato distinto riceveva un possedimento in paga o un popolo militarmente a lui subordinato. Questi feudi o signorie erano soggette all'alto dominio de' Sovrani, e i loro territorj erano composti di signori Catanei, voce corrotta di Capitanei, sparsi in tutti i contadi per militari e politici oggetti, e però si chiamavano milites de majoribus, de nobilibus, e gli altri cra

no pedites, o della plebe. Questo sistema comprendeva i Duchi, i Marchesi, i Conti, che governavano a nome de' Sovrani le provincie, le città, e le terre dei respettivi stati. Gl' Imperatori d'allora come avvocati e difensori della Chiesa costituivano de' ministri nello stato della Chiesa affine di garantire i popoli dalla prepotenza de' magnati. Volumus autem, ut Missi (a) constituantur a Domno Apostolico et a Nobis: cosi Lotario Imperatore nel cap. della sua costituzione presso l'Olstenio e nel cap. 1. Nam et hoc decernimus, ut Domno Apostolico in omnibus justa servetur obedientia sub ducibus ac judicibus suis ad justitiam faciendam. Decernimus itaque, ul primum omnes clamores, qui negligentia ducum aut judicum fuerint ad notitiam Domni Apostolici referantur, ut statim aut ipse per suos nuntios eosdem emendari faciat, aut notificet, ut legatione nobis directa emendentur. La protezione degl' Imperatori nello stato della Chiesa era un difendere i diritti del Papa e del suo stato contro le prepotenze dei Duchi, Baroni e Militi, che avevano bisogno di un freno imperiale.

Per cause politiche riferite dagli storici di que' tempi e riportate segnatamente dal Muratori dissert. 45. delle antichità italiane cambiò questo sistema nel secolo XII. Le città di Lombardia le prime cominciarono a governarsi a comune a guisa di republiche: si estese questo metodo di governo nella Toscana, e penetrò nel dominio pontificio e in Roma stessa, dove promosse lo spirito di quel tempo Arnaldo da Brescia colla sua eresia detta dei Politici o degli Arnaldisti, che inquietarono molto i Sommi Pontefici di quel tempo. Questa forma di governo ammetteva al comando ancora quei della plebe insieme coi nobili. Quindi Ottone Trisigense, che scese in Italia col nipote di Federigo II. trovò, come racconta nel lib. 2. cap. 13. delle gesta di lui, che in Lonbardia governavano i Consoli scelti dall' ordine di Capitani, di Valvassori (nobili impiegati publici ) e della plebe. Dice ancora, che le Città obbligarono i Militi o Signori di castelli e distretti a far sommissione e divenir cittadini. Quindi le Città divise d'interessi ed avide d' ingrandimento comincia

(a) Giudici straordinarj, ehe si spedivano.

rono ben presto a farsi guerra, quindi legha delle une contró le altre per sostenersi a vicenda, e continui trattati di pacè e guerra, che spesso si concludevano, e anche spesso si rompevano, e i Signori de' castelli cominciarono a giurare fedeltà ai Comuni, che le prendevano sotto la loro tutela. Oltre le guerre colle vicine Città, e castelli, nell' interno delle Città regnava bene spesso la discordia, e la prepotenza dei grandi avidi di sollevarsi in autorità sopra il volgo. Le inimicizie private tra i i grandi rivali intenti a procacciarsi un numeroso partito avevano riempito le Città di fazioni, e le fazioni di guerre civili. Infierì tra le fazioni lungamente quella de' Guelfi e de' Gibellini, gli uni partitanti della Chicsa, gli altri dell' Impero, per cui si guerreggiava nelle mura della stessa Città, e non di rado nella stessa famiglia l' uno cacciava e trucidava l'altro.

A questo impetuoso torrente non potè dare riparo la debolezza de' governi allora travagliati dalle contese degli aspiranti all'impero e al regno d'Italia, e dalle contese tra il sacerdozio e l'impero. Perciò le Città d'Italia, come scherzosamente cantò il Tassoni

<< Ruzzavano talor non altrimenti

Che disciolte polledre a calci e denti ».

Da senno scrisse il Borghini lib. dei Vescovi di Firenze: « la cieca Italia in se stessa divisa volle colle proprie forze consumandosi guastare il bel giardino del Mondo ».

Quanti danni apportasse alle Città d'Italia questo sistema di governarsi è facile a concepirsi, e le storie ne fanno lamentevole menzione.

La società, che è formata a bella posta, per servire di barriera alle private passioni, se viene posta in balia delle medesime, succede uno sconvolgimento sociale, una malattia politica, sorgente di mali continui fino a che una forza impouente non arrivi a frenarle.

Sarebbe poi un' insoffribile anacronismo, se si volesse misurare i tempi nostri con quelli de' secoli d' allora. Nella stessa lega lombarda si salvò la fedeltà dovuta all' Imperatore, e nelle convenzioni, che si stringevano col Papa nello stato pontificio era salva la fedeltà a lui dovuta. Nè questa clausola era illusoria e finta: imperocchè le Città d'Italia

null' altro cercavano, che difendere i diritti, di cui erano in possesso senza attentare nè contro la persona del Papa e dell'Imperatore, nè contro la loro dignità e i loro diritti. E se alcune volte per la effervescenza dei partiti ardenti si trasandava la debita dipendenza temporale del Papa, ben presto si ritornava alla obedienza, e si otteneva il vicaritato delle Città a nome del Papa, cui si pagava un' annuo censo.

Altra osservazione occorre fare nei governi delle Città d'Italia, ed è, che non solo erano rispettose al Sovrano, e al di lui alto dominio, ma altresì alla religlione e alla chiesa. << Buon per l'Italia, scrisse il prelodato Borghini, che viva era in quei tempi la fede, altrimenti di quelle Città non si potrebbero assegnare neppure le ruine, perchè non solo guerreggiavano fra loro le diverse Città, non solo li castelli, anzi le terriciciole più meschine, ma coloro persino si rodevano e si struggevano l'un l'altro, che serravano un muro e una fossa »>.

Città di Castello non solo fu involta nella comune disgrazia di tutte le altre Città ma si segnalò nelle fazioni, che cbbe a soffrire, se dobbiamo prestar fede a Benedetto Dei (presso il Denina 1. 13. cap. 8. delle rivoluzioni d' Italia) in una lettera scritta il 1470. inserita alla p. 44. delle sue croniche, ove si ha: « Dico e dirò e confermerò sempre, che la città di Vinegia ha fatto più mutamenti e più novità e più sangue, che non han fatto le quattro Città, che sono in Italia le più armigere e le più marziali, cioè Genova e Bologna e Perugia o CITTA' DI CASTELLO, che raccozzandole tutte quante insieme non raggiungerebbero alla quarta parte della vostra città di Vinegia ».

Ciò non ostante Città di Castello fu eminentemente religiosa. Nelle vittorie, che riportava contro i suoi emoli rendeva publici ringraziamenti al Dio degli eserciti, ergeva altari alla memoria de' Santi, nel giorno festivo de' quali vinceva i suoi avversarj, e ordinava publiche feste; quindi l' altare e cappella eretta a S. Emerenziana, altro a S. Paolo, altro alla SS. Vergine; festive illuminazioni e offerte alle chiese di S. Maria Maddalena e di S. Egidio. Oltre i monasteri e priorati benedettini diffusi in tutto il territorio Castellano, i conventi degli ordini regolari furono introdotti sino dalla

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