riconciliato colla chiesa romana, disposto a rizzare chiese e conventi nel suo regno, si vedrebbe senza dubbio per tale innovazione esasperato, e venire a meno ne' suoi propositi 32). Le parole del legato pontificio, nè esagerate, nè dettate da spirito di partito, trovarono eco non meno nella curia romana che negli amici del buon ordine. Di fatto, che il re Kristich si mostrasse inchinevole a favorire il culto cattolico e la pubblica quiete, che professasse stima e rispetto all' Ordine francescano, ciò era noto a tutti, e tutti si aspettavano un sensibile incremento morale dall' operosità dei frati e dalla sua cooperazione. Già da un lustro, sebbene tributario al Gran Signore, e sorvegliato nelle libere sue azioni, aveva raccolti nel castello di Cognitz, a fine di dare alcune leggi vitali al regno, Tommaso vescovo di Lesina, legato della santa Sede; Teofilo di Pechia, patriarca di rito greco della Rascia; Massimo, metropolitano della Serbia; Giovanni di Mozua e Teodoro di Pouyna, nonchè i chiarissimi padri dell' Ordine di san Francesco, Eugenio da Somma, nunzio e commissario del Papa, e Michele da Zara, vicario dei Minori della Bossina. Presenti i detti personaggi fu emanato il seguente decreto: "Noi Stefano Tommaso, per la grazia di Dio, re di Rascia, di Serbia, di Erzegovina, di Dalmazia, di Croazia, a futura memoria, a tutti notifichiamo con le presenti, come raccoltici nella terra di Cognitz, con quanti sono i prelati, baroni, voivodi e signori dei dipartimenti del nostro regno, vi trattammo di parecchi argomenti circa all' utile e alla tranquillità del medesimo. Ove, fra le altre lodevoli ordinazioni, ci proposero alquanti articoli, umilmente supplicando vi apponessimo la nostra conferma. Questi sono: primo, che non possano i Manichei edificar nuovi templi, nè ristorare i cadenti: secondo, che sia vietato l'usurpare i beni lasciati alle chiese: terzo, che se avvenga che uno uccida un altro di spada, sia per reale giudizio tratto in carcere, e sieno divisi i suoi beni in due parti, l'una delle quali vada al fisco, e l'altra ai figli, congiunti o parenti dello estinto: quarto, che i consiglieri secretari, voivodi, e gli addetti alla real sede, debbano dopo eletti prestare giuramento di fedeltà al re: quinto, che l'Erzegh (duca) di san Saba, non si abbia a reputare legittimo, se non sarà eletto dal re di Rascia, Bossina, ed Illiria, a cui darà del pari giuramento di fedeltà; e che s'abbia a punire ove osasse d' adoperare altrimenti: sesto, che sieno puniti nel capo gl' incestuosi ed i corruttori dei propri parenti: settimo, che sia applicata la pena d'infedeltà ai traditori delle castella, o de' loro padroni; e similmente ai contraffattori di moneta. In memoria e confermazione delle quali ordinazioni tutte, notate nel presente libro per volontà de' signori prelati, voivodi e nobili di tutto il regno, ordinammo venissero munite del nostro sigillo. Dato in Cognitz, per mano del reverendo padre in Cristo, Villemiro Vladimirovich vescovo di Krescevo e Narenta, di rito greco, secretario della nostra corte, l'anno del Signore 1446, festa di san Giovanni Battista 33). In favore della sentenza pronunziata dal legato Tommassini scrisse pure Michele da Zara, allora vicario della Bossina. Avvertito egli che fra breve sarebbe colà arrivato san Giovanni da Capistrano, prese occasione da tale nuova per congratularsi seco lui, e ragguargliarlo minutamente dello stato in cui versavano que' fedeli e i suoi missionari, come pure dei vasti disegni che Stefano Kristich ideava pell' incremento del culto cattolico e delle famiglie minoritiche. Ed in vero, a fine di corroborare viemmaggiormente i buoni semi che andavansi propagando per un regno in gran parte desolato dagli scismi e dalle armi turche, il re raccolse di nuovo a Vissoki gli ottimati di sue terre, e diresse al conte Radivoi Vladimirovich, giudíce della regia curia e prefetto di Narenta, il decreto del seguente tenore, che da lui doveva essere trasmesso ai prefetti di tutta la Rascia e della Bossina: "Siccome, dice in questo, alle nostre cure e sollecitudini fu affidata la fede, l'osservanza della religione, e il culto di Dio ottimo massimo e della santa madre Chiesa, inaugurati dai santi frati, figli del patriarca Francesco, e di mano in mano consolidati e a noi trasmessi; così niuna cosa ora abbiamo più a cuore quanto quella di conservare scrupolosamente il deposito a noi commesso, di far osservare da tutti l'eredità degli avi con pietà sincera, e con rettitudine d'intenzioni, a fine di dare maggior splendore alle leggi divine in mezzo alle comuni scelleratezze, che da molti anni ci affliggono, tenere lontani gl'imminenti pericoli, e ridonare alla repubblica cristiana, se Iddio ci sarà propizio, pace, quiete, tranquillità, a sempre maggiore dilatamento della fede. Le lettere supplichevoli giunteci da tutti i fedeli della Bossina mentre eravamo raccolti a Cognitz, dove tu pure intervenisti, ci confermarono maggiormente nel santo proposito, e c'incuorarono a seguire il cammino senza timori. Ci fu supplicato, come sai, perchè ci adoperassimo ad estirpare quell' eresia, che non solo in ogni parte del nostro reame aveva ricominciato a germinare, ma sì bene messo profonde radici; a richiamare all' avita credenza coloro che dal vero culto di Dio sviati, erano pessimo scandolo ai fedeli; a punire e allontanare quegli altri, che di false dottrine imbevuti, ogni di più danneggiavano la chiesa ortodossa, da tanti secoli approvata e fra noi introdotta. Per lo che vogliamo ed ordiniamo alla tua fedeltà, che, se di tali uomini, comparisse alcuno nel reame bossinese, o nella tua prefettura, il quale insegnasse pubblicamente dottrine estranee alla cattolica fede, debba essere tosto esaminato, e, se renitente, senza dilazione punito, di qualunque grado o dignità egli fosse. Che se altramente tu ti diporterai, di grave offesa ti renderai reo non meno presso Dio che presso di noi. Dettato a Vissoki nel primo giorno di luglio del 1450., Le opere benefiche del re, l'operosità dei frati, la cupidigia delle separazioni, la pieghevolezza dei principi slavi, divenuta oggimai necessità, in promuovere il benessere morale del regno e il consolidamento monastico, ridestarono l'attenzione della cristianità di occidente e della Sede romana; onde soggetti di grande merito vedemmo accostarsi a queste sponde. Vi venne san Giovanni dalle Marche per la seconda volta, vi venne Marco da Bologna, ministro generale dell' Ordine, con seguito di illustri francescani. Si trovarono essi con altri illustri dalmati, coi quali ora nella Dalmazia ungherese, nella Bossina e nella Slavonia, ora nell' Albania, nella Serbia e nella Valacchia si dirigevano, dove a riformare i costumi e combattere le dottrine dei novatori, dove a rendere più splendido il culto cattolico, ed a piantare divote congregazioni di uomini penitenti, di fanciulli abbandonati. La vita edificante, la schietta osservanza delle monastiche discipline, ed i non pochi soggetti chiari per scienze e lettere che il ministro generale trovò tra i suoi fratelli, non meno che la mitezza del clima, la stupenda serenità dell' orizzonte e i modi del popolo ritraenti della più pretta coltura e civiltà occidentale, lo trattennero fra di noi più a lungo di quello ch' egli avea divisato. Di qui avvertito della zizzania ripullulante in materia di religione nella Bossina e nelle zupanie della Dalmazia ungherese, diresse la seguente lettera a frate Giacomo dalle Marche: "Poichè a cagione dei delitti di molti, a tale crebbe in questi dì la forza e la malizia del detestabile principe d'inferno, che la corruzione sparsasi per quasi tutta la terra, ebbe già non poche provincie così infette, che non pure i loro abitanti abbracciarono eresie già mille volte condannate, ma persino lasciavansi trasportare a vita sensuale come bruti, quasi per divina rivelazione ciò fosse loro suggerito dal cielo; ben facile è ad intendere che all' udire come tu, compreso dall'alta carità della salute de' popoli e della fede, disponesti recarti senza indugio nelle parti di Dalmazia e di Bossina, a fine di confortare con le tue predicazioni quelle genti, e dar di scure nelle radici delle eresie, onde sono travagliate, io ne sentissi grande allegrezza. Imperocchè chi meglio di te, o dolcissimo Padre, potrebbe condurre a fine tanta impresa, il quale sei d'ogni fatta virtù adorno, e di tutta pietà, grazia e religione fornito, onde in sì gran parte di mondo già tanto potentemente del tuo valore contribuisti al ristoramento dell' onor di Dio, della salute delle anime, e della vita religiosa e sociale di non poche genti, che ti ebbero a missionario? Perciò ben volentieri io approvo e confermo il tuo santo proposito: anzi affinchè sì i frati che i secolari ti accolgano con la carità e l'onore che si conviene, favorendo con ogni ingegno alla tua missione, con le presenti mie lettere t' istituisco mio Commissario nelle predette parti di Dalmazia e di Bossina, sì che niun de' primi ti si possa come che sia opporre, anzi tutti, non altrimenti che sudditi, abbiano a riverirti e renderti obbedienza! Ancora comando a' medesimi frati, sì prelati che suggetti, appresso i quali passerai, o ti piacerà far dimora, che adoperino teco come se fosse la stessa mia persona, in quella che a te concedo piena facoltà di dare lettere di partecipazione alla figliuolanza dell'Ordine, a quanti per lor divozione te ne richiedessero. Addio, mio ottimo Padre: fa con l'usata tua diligenza di recare a felice fine il piccolo carico che ti commetto, e continua pregare per me. Di Ragusa in provincia di Dalmazia, il trenta dicembre del 1452 34). Un'altra diresse nell' anno seguente dal convento di sant' Andrea, fabbricato nella prima epoca francescana sopra uno scoglietto a breve distanza di Rovigno, luogo assai ameno e per la sua giacitura, e per le verdeggianti rive che lo prospettano all' intorno, nella quale gli dà contezza dell'alta sua soddisfazione trovata ne' monasteri dell' Istria e della Dalmazia. Loda in questa la bontà di animo de' suoi fratelli, manifesta la pronta volontà loro nell'accettare alcune riforme presentate a buon numero di padri congregati nel conventino di santa Croce fuori delle mura di Zara; l'esorta dovendo egli abbandonare questi lidi, a portarsi quanto prima a Ragusa, per presiedere alla Congregazione provinciale fissata da tenersi nel monastero di Daxa, monastero più di altri facile all'accesso di chi aveva ad intervenire dagli estremi punti dell' Albania e dell' Istria. Scrisse una terza da santa Croce diretta a re Stefano Kristich con cui vuole cassasse la sentenza suggerita dal troppo suo zelo, |