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Finalmente a mezzo di così disparate opinioni di valentissimi numismatici, v'aggiunge esso M. Capor le sue considerazioni. Corfù, édice, ebbe il nome di Corcyra nel secondo anno appena della X olimpiade, allorchè Chersicrate Corintio discacciò i Liburni, che l'occupavano (Strab. lib. 6). Prima di quest' epoca essa appellossi coi nomi: Drepane, Feacia, Macris, Scheria, e pare ch' egli voglia all'epoca di questi nomi far ascendere i vari tipi delle monete Corciresi. Però v'incorse in un abbaglio asserendo che l'epiteto Moelena fù troppo tardi aggiunto a Corcyra, mentre nell'istorie di Ditti, come abbiamo veduto più sopra, lo si rinviene. Che se le monete in questione hanno vasi nell' esergo, bene è vi riflette contro Pellerin, ch'anco da ciò alla Corcyra dalmatica si possano ascrivere, sendo noto da Aristotile, o da chi fù autore del libro de mirabilibus, che tra l'Istria e la regione dei Mentori si tenevano fiere, ove al mercato vendevansi vasi Corciresi Corcyrenses anphorae." E che qui s'accenna alla Corcyra dalmatica e non alla jonica n'accerta il riflesso della vicinanza del paese dei Mentori, come assicura Plinio nella sua istoria naturale al lib. III, cap. 10: „Arsiae gens Liburnorum jungitur usque ad fluvium Titium: pars ejus fuere Mentores" o come altri che trasporta i Mentori verso il promontorio di Diomede.

Noi dunque unendosi all' opinione del Froelich, del nostro Capor e del classico Neumann, ch'ebbe a scrivere „lego A, 12, KOP, constanter in Phari, Issae et Corcyrae Nigrae monetis" con intimo convincimento dietro accurate indagini non esitiamo d'affermare, che alla nostra Corcyra Maelena si devono ascrivere le medaglie col monogramma KOP, in gran copia rinvenute nell' agro Corcirese. Eccone i tipi esistenti nella raccolta del più sopra lodato Sig. Capor. 1. La fortuna alata stante KOP.

Rovescio: l'aquila.

2. Un satiro avente di dietro un pesce, ed un otre poste innanzi un vaso Rovescio: un cavallo montato da un cavaliere.

3. Un grappolo entro una girlanda di foglie di viti.

Rovescio: una nave KOP.

4. Bacco con girlanda di foglie di viti.
Rovescio: un anfora KOP.

Dischelados.
(Brazza.)

Fra le moltiplici medaglie, che tutto di si dissotterrano sull'agro Farese, havvene di molte eziandio, che portano nell' esergo l'iscrizione ATP, altre poi soltanto Ar. I numismatici attribuirono tanto le prime che le seconde a Dyrachium (Durazzo), città epirotica monetaria. Noi amanti della patria gloria oltremodo, forse oseremo di troppo, ponendo sotto il riflesso degli antiquarj una congettura che, se trovasse ascolto, non solo ci conforterebbe sempre più nello studio delle patrie antichità, ma illustrerrebbe di molto l'istoria antica nostra, empirebbe una lacuna ne' prischi fasti dell' isola Brazza, e ci darebbe per ultimo una città numaria di più in queste parti.

Appolonio Rodio, come più sopra accennammo, descrivendo il viaggio degli Argonauti nel mar Cronio (Adriatico), vi riporta:

ισσοτε, δυσκελαδος, καὶ ιμερτη πιτυεια.

Abbiamo veduto che Pitia era il primitivo nome di Lesina (isola). Che se dunque Appolonio fà cenno dell'isole Lissa e Lesina, se suo scopo era appunto di nominare i principali luoghi, per cui passarono gli Argonauti, come iscorgesi facilmente dal restante del suo racconto, si può inferire senza tema d'errare, che la parola Dischelados debba appartenere all' isola Brazza, come quella che doveva, in un colle altre due Lesina e Lissa, offrirsi necessariamente in sulla via, e che per l'estensione e per l'opportunità di sito, per la vicinanza al continente, ai tutte le altre và di molto innanzi. L'isola Brazza adunque all' epoca de' Pelasgi (Liburni) s'addimandava Dyschelados, e tale si fu il primitivo di lei nome.

E che sull' isola Brazza vi fosse stata in fiore ne' primissimi tempi la coltura pelasgo-greca, non solo ci accerta lo Scoliaste di Appolonio, il quale aggiunge: „Liburni inhabitantes has insulas" ma fù eziandio costante tradizione. Basti una prova. L'Arciprete Doimo così esprimesi: „Sui primi habitatores, ut excerpsi ex aliquibus membranis, fuerunt Graeci, qui destructa Troja, applicuerunt ad hanc insulam. Multi et Stoissa Archipresbyter scripsit, quod hi Graeci fuerunt ex civitate Ambraciae et ideo insula Bracia fuit appellata.”

Se dunque l'isola Brazza ebbe suo primo nome Dischelados, se sù di essa fiori la coltura greca, se finalmente le isole Pharus, Issa, Corcyra, a lei adjacenti e di minore importanza illustrarono nel tempo della loro autonomia il libero governo col coniare monete loro proprie, si potrà eziandio concedere, che anco Dischelados avrà coniato per conto proprio, come l'altre tre, delle medaglie, sendosi appunto trovata in più favorevoli posizioni topografiche delle più sopra nominate isole monetarie.

E noi in base di queste considerazioni, nonchè dell' immensa copia di medaglie col monogrammo AT che tutto giorno rinvengonsi ne' dintorni di Città Vecchia (Pharus), non esitiamo d'attribuire a Dischelados le monete col AT, lasciando a Diracchio (Durazzo) quelle che portano il monogramma ATP, tanto più che ne' classici non ci venne veduta alcuna moneta col AT solo attribuita a Diracchio e che tali monete in grandissimo numero si dissotterrano soltanto tra i ruderi di Pharus così prossima alla Brazza. S'aggiunga a ciò per ultimo la seguente forse non inutile considerazione sul proposito. Distrutta Pharus 219 anni innanzi Cristo, e dissotterrandovisi più fiate le monete col AT in un alle faresi commiste, hassi da concedere ad esse pure un' epoca anteriore al 219 A. C. Ma sapiamo che Durazzo a quel' epoca addimandavasi Epidamnus, e che appena i Romani gli scambiarono un tale suo primitivo nome con Dyrracchium al tempo in cui s' impadronirono di esso (Plinio Stor. Nat. Hofmann, Lex. Univ. Funck Lex. Real. ecc.). Gli è quindi che sendo le monete col Ar d'epoca anteriore a quella del nome Dyrracchium, a Durazzo non vi possono per nessun modo appartenere.

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Vedano gli eruditi, se questa nostra congettura possa aver forza. L'illustre nostro amico e concittadino P. Nisiteo non fù schivo a concorrere in questa nostra opinione, e noi qui offriremo all' esame de' numismatici i soli due tipi di queste monete, che quell' egregio patriotta vi conserva nella preziosa sua raccolta numismatica:

1. Caput Herculis imberbe, leoninis exuviis tectum ad dex. )( Ar arcus, clava, pharetra, aen. 23⁄4

2. Eadem repraesentatio )( sine epigrafe ead. repraes. S' osservi per ultimo, che gli emblemi di questi due tipi s' avvicinano di molto a quelli della nostra Eraclea, che più sotto recheremo.

Eraclea.

Dissodandosi nel 1835 un terreno ne' dintorni dell' antica Pharus, ad un tale venne fatto di rinvenire un' involto d'antiche monete, tra quali molte recanti nell' esergo l'iscrizione HPA, ovvero anche HPAKAH. Offerte al dotto nostro amico P. Nisiteo, indefesso raccoglitore delle patrie antichità, tostamente costui comunicava una tale scoperta a varj illustri personaggi, tra quali al Chiariss. Steinbüchel, Prof. a Vienna e Diret. del Museo Imperiale, il quale in una lettera di risposta significavagli, ch' è opinava per Eraclea Taurica: e com' egli, così altri ancora. Non contento però il Nisiteo di tali risposte, si diè ad istudiare più profondamente queste monete, per cui di nuovo si rivolse al più sopra nominato archeologo, dandogli estesa contezza de' varj tipi e del grande numero che tra noi si trova di esse monete, aggiungendovi una qualche osservazione. Gli scriveva in risposta quel valentissimo Professore: „quello ch' ella mi scrive del gran numero delle medaglie d'Eraclea, che si trovano a Città Vecchia (Pharus) è di grande interesse, perchè potrebbe farsi, che anche queste medaglie, benchè nessun classico a mia saputa ne parli di un Eraclea in coteste contrade, si dovessero assegnare a cotesta patria, ed accrescerne tanto più la richezza numismatica. Ciocchè mi fà parlare con molto più di corraggio si è un passo interessante, ch' io trovo in un' opera manoscritta del fù Sestini, la quale opera è in mio potere, consistente in dodici volumi in foglio, e contiene il catalogo ragionato di tutte le medaglie antiche, che quel dotto numismatico aveva vedute o trovate publicate nelle opere. Il titolo di quest' opera immensa è: Sistema Geographicum Numarium. In quest' opera immensa adunque dando la descrizione di tutte le medaglie di Eraclea del Chersoneso Taurico, che a lui erano note, aggiunge quel famoso dotto come segue: Numi fabricae barbarae, et non hujus sedis, monente C. L. Koehlero non dantur neque inveniuntur in hoc tractu. Io credo di farle un vero dono comunicandole quest' interessante osservazione del fù Sestini."

Avuta questa risposta importantissima, il Nisiteo si pose a rileggere attentamente le opere degl' istorici e de' geografi antichi in quella parte che riguarda la nostra provincia, e gli venne fatto dopo molta fatica di rinvenire nel lavoro del più antico ed accurato geografo, vogliam' dire nel Periplo di Silace Cariandeno un passo classico a questo proposito. Costui discorrendo della nostra costa e specialmente di quel tratto ch' un tempo addimandavasi „Promontorio di Diomede," in oggi la Planca, soggiunge: „post Liburnos gens est Illyricorum, qui oram marittimam accolunt ad Chaoniam usque, quae juxta Corcyram Alcinoi insulam est. In his oppidum graecum est nomine Heraclea et portus. Sunt et hic

barbari, quos lotophagos 1) vocant hierastamnae Bullini, Illini, Bullini contermini Hylli. Hi Hyllum Erculis filium conditorem suum asserunt" (Olstensio Trad.). Qui dunque sulla costa dalmatica trovasi indieta da Silace la sede in que' tempi d'una città greca di nome Eraclea. Vedendo però il Nisiteo, che nessun' altro scrittore antico v'ebbe a nominarla, ciò a prima giunta gli fece obbietto gravissimo onde poter dire vero il detto di Silace; ma riflettendo da poi, che Scimno Chio e Diodoro Alessandrino non nominarono città veruna delle tante all' età loro esistenti sulla costa occidentale illirica, che Strabone ne ommise parecchie, e fra le altre Jadesta, Narona, Epidauro; che Mela ne taque il maggior numero; che all' epoca di Tolomeo e di Plinio la nostra Eraclea o più non esisteva, o esisteva sotto altro nome; che neppure questi due geografi furono accurati nella nominazione delle illiriche città, gli sembrò di poco momento l'obietto del silenzio de' geografi posteriori a Silace.

Il Lucio ed il Farlati, istorici dalmati di maggior levatura, nulla scrissero di Eraclea, facendo loro per avventura ostacolo il non aver a scorta, che il solo geografo Cariandeno. Il Sig. Cattalinich n'addottava l'esistenza, congetturando, che sulle rovine dell' antichissima Eraclea sia stato da Romani edificato Praetorium, nominato nell' itinerario di Antonino. Afferma però il Nisiteo, non esservi al dì d'oggi alcuna traccia che i Romani fabbricata avessero questa città e nessun' altra sulla nostra costa, e che forse null' altro avranno fatto que' insaziabili conquistatori, se non se togliere ad Eraclea col nome l'illustre di lei antichità, nominandola Praetorium per indicarne la militare destinazione. La descrizion delle reliquie di Praetorium esistenti ai tempi di Lucio (De Reg. l. 1, c. 4) porta prova sicura, ch' ella fosse città di rilevanza, e tale esser dovea. Era situata alla parte orientale della penisola, a lido del mare, con porto di agevole accesso ed uscita, di sicura stazione e di lontana marittima veduta. Era di somma importanza, massimamente ne' primi tempi della navigazione, il sito del promontorio di Diomede (la Planca), e doveva di necessità ivi nascere da remoto tempo una città. Un luogo anco a di nostri pericoloso e nella prima età pericolosissimo per l' imperizia della navigazione, non poteva rimanere disabitato. Questa stazione marittima doveva essere frequentata dai navigli, che percorrevano il mare illirico e la moltiplicità degli approdi doveva dar nascita ad una città tale qual' era Praetorium a detto del prelodato Lucio ove si legge: „Quod quadratae structurae fuisse, forumque in medio formae eclipticae habuisse, porticibusque circumdatum et

1) Di recente il Sig. Cattalinich (Storia della Dalmazia Tom. 1.) affermava, che Silace colla parola lotophagos indicasse i più barbari e crudeli uomini dell' età antica, o quasi canibali; nella credenza che la voce lotophagus portasse il significato di antropophagus, appoggiando un tale asserto all' autorità di Omero. Ma Omero (Odiss. lib. 9. v. 83) non attribuisce ai Lotofagi un tal carattere, tranne che si cibassero di loto, che a sentenza di Erodoto era un frutto squisito, pari alle coccole del lentisco, ma dolce come i datteri (lib. 4. §. 177 e 178. Trad. Muxtoxidi). Ne nostri lidi vi si trova questa pianta sotto il nome volgare di giuggiola, che Linneo chiama Rhamnus Ziziphus e Jussieu Ziziphus sativus (v. Nisiteo. La Dalm. 1837, 26.)

cisternas in angulis pro aquam, quibus situs indiget necessitate suplenda, ruinae demonstrant."

Facendo tesoro di tutte queste notizie, il Nisiteo si rivolse per la terza volta al dott. Steinbüchel, indicandogli in ispecie lo squarcio di Silace, ove nomina Eraclea, e dandogli a conoscere fra altre parecchie monete nazionali e forestiere, un nuovo tipo monetario rinvenuto nel suo brollo con un delfino al rovescio, appartenente ad Eraclea, ed ebbe tosto in risposta: „mi congratulo seco lei, ch' ella ha dato alla Dalmazia una città di più, parlo di Eraclea, della quale città si trovano due medaglie inedite fra le sue."

E l'autorità di persona perita e consumata nella scienza numismatica, avvalorata dalle circostanze più sopra accennate, deve valere infaccia la critica la più rigorosa ; e vero ciò, si poteva dire liberamente provata l'esistenza dell'antichissima Eraclea, e provato che ancor prima della remota epoca di Silace Cariandeno possedesse la nostra sponda questa città monetaria, oltre quelle delle isole e di altre città del continente. E che tale sia la data del primo conio monetario di Eraclea, ci offre prova sicura la specie de' tipi rinvenuti e che le appartengeno. Le monete che non hanno leggenda alcuna, come osservammo più sopra discorrendo di Pharus, o leggenda retrograda, sono dagli antiquarj giudicate di lontana antichità; e di queste havvene parecchie fra quelle che appartengono alla nostra Eraclea, come vedremo.

Ma il Nisiteo non si arrestò a questo passo, ch'anzi volle farne partecipi di questa scoperta i dotti membri dell' istituto Archeologico di Roma, di cui, qual membro degnissimo, ne fà parte. Quelli bramando, che la verità di questo importantissimo fatto fosse posta in piena luce e certezza anche dal giudizio d'altri antiquarj, che sentono molto avanti nella numismatica disciplina, ebbero ricorso all' illustre Rathgheber professore d'antiquaria nell' università di Gotha. Costui abbracciando la sentenza di Nisiteo e di Steinbüchel, e confermando in pari tempo la verità di questa scoperta, nel n. 7. di luglio 1838 del Bullettino dell' Instit. Archeologico di Roma così scriveva: „Due cose rendono ora più perfetta la serie delle illiriche monete; ciò sono una lettera del Sig. Pietro Nisiteo diretta all' Instituto, e diversi inediti del ducale gabinetto numismatico di Gotha." E poi più sotto esposta la serie delle monete inedite dell' Illiria, riporta il passo di Silace (Perip. in Geog. Min. Ox. 1699, p. 7), in cui chiaramente si fà menzione dell' Eraclea dalmatica, e soggiunge: „Colla scorta di questo passo assegnò il Sig. Pietro Nisiteo, col consenso del ch. Steinbüchel all' illirica città Eraclea, che nomina Silace, medaglie, le quali fin' ora erano sparite fra le omonime d' altri paesi, mentre altre furono riportate fra le incerte... Relativamente alla classificazione di queste medaglie sotto il Chersoneso Taurico mostrava già i suoi dubbj Sestini... Siccome ora il Sig. Pietro Nisiteo ne possiede 45 esemplari, così ci riesce manifesto, che queste medaglie sono in quelle contrade frequenti e comuni, quanto insolite nel Chersoneso Taurico. Ne potrà però nascerne dubbio veruno su quanto oppinarono i Sigg. Nisiteo e Steinbüchel."

Gli è quindi che da queste operazioni praticate dal Nisiteo specialmente sulla base delle monete rinvenute di fresco a Città Vecchia per far riconoscere dai dotti dell' età nostra la sua scoperta, non vi può più nascere alcun dubbio sull' esistenza della nostra Eraclea. In genere il tipo delle monete in discorso

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