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quale catalogo fu reso pubblico per la prima volta dal de Rubeis (1) nell' Appendice ai suoi Monumenti della chiesa aquilejese, e devesi certamente riputare di massima autorità, perciocchè lo si leggeva sino dai tempi del patriarca Popone, il quale vi avea residenza nell' undecimo secolo. Esso andò poscia di mano in mano crescendo per l'aggiunta, che vi si fece ad ogni nuova elezione di patriarchi, sino a Dionisio Dolfin, eletto nel 1699; e dell'aggiunta successiva porge certissimo indizio la diversità dei caratteri dal nome del successore di Popone sino a quest'ultimo che nominai. Tuttavolta non è immune da inesattezze, cui le posteriori scoperte resero manifeste.

Aveva la chiesa di Aquileja inoltre un rito particolare nelle sacre uffiziature, il quale nominavasi patriarchino e del quale giunsero traccie anche nella nostra chiesa di Venezia, conservate e derivate da quella di Grado. Di esso rito esistono preziosi codici manoscritti negli archivi dei varii luoghi, in cui fecero dimora gli aquilejesi pastori, particolarmente nel copiosissimo di Cividale, ricco di oltre a quattromila pergamene di privilegii, donazioni ecc., e di molti leggendarii e passionarii ed altri libri liturgici; considerevole porzione dei tesori dal patriarcato di Aquileja. Di quello di Udine, che n'è senza paragone inferiore sì per l'antichità e sì pel numero, fu dato in luce quattr'anni or sono, un manoscritto, cui lo studioso Giuseppe Bianchi fece apparire di maggiore importanza di quello che lo sia veramente, e sì che indusse l' udinese municipio a farlo soggetto di civico omaggio al novello arcivescovo Zaccaria Bricito, ora defunto: esso fu intitolato Thesaurus Ecclesiae Aquilejensis, opus saeculi XIV (2).

Nè lasciar devo inosservato, che i patriarchi di Aquileja, oltre alla ordinaria amministrazione pastorale sulla vasta loro diocesi ed alla estesissima giurisdizione metropolitica sulla provincia ecclesiastica, a cui presiedevano, anche giurisdizione civile e principesca esercitarono per più secoli sopra vasto

(1) Pag. 6 dell' Append.

(2) Udine 1847, vol. unico in 8.o

territorio; della quale rimase sino al giorno d'oggi, benchè soppresso da quasi un secolo il patriarcato, una qualche traccia in Udine e in Cividale nel rito bizzarro della notte del santo Natale in quella e del giorno dell' Epifania in questa città, ove il diacono, vestito delle solite insegne dell' ordine suo, si reca all'altare col capo coperto di elmo guerriero e tenendo nella destra una lunga spada, sulla foggia di quelle che usavansi nel medio evo. Ed anche questa civile giurisdizione degli aquilejesi patriarchi concorre per verità a rendere più difficile ed intralciata la storia della loro chiesa.

Ed anche delle suffraganee, che ne dipendevano dalla metropolitica giurisdizione, dirò due parole. Dopo la canonica separazione dei due patriarcati; di Grado voglio dire e di Aquileja; rimasero a questa le diocesi di tutta la terraferma, che l'erano da principio sottoposte e che lo furono sino alla sua soppressione. Erano diciassette: Belluno, Ceneda, Città nova, Como, Concordia, Feltre, Capo d'Istra, Lubiana, Parenzo, Padova, Pedena, Pola, Treviso, Trieste, Trento, Verona e Vicenza. E quando nel 1752, dal soppresso patriarcato aquilejese derivarono i due arcivescovati di Gorizia e di Udine, le diocesi di Belluno, di Ceneda, di Città nova, di Concordia, di Feltre, di Padova, di Treviso, di Verona e di Vicenza furono assegnate in provincia ecclesiastica del secondo, e le altre, ad eccezione di Como, furono sottoposte alla metropolitana giurisdizione del primo. Finalmente, avvenuta nel 1819 la soppressione anche dell'arcivescovato udinese, questo, cangiato in semplice vescovato, e con esso tutte le sunnominate chiese, che ne formavano la provincia, diventarono suffraganee alla patriarcale chiesa di Venezia. Udine, per altro, nel 1847, riacquistò il pristino grado arcivescovile; ma siccome grado meramente di onore, senza metropolitica giurisdizione sopra qualsiasi diocesi suffraganea.

Basti ora quanto di Aquileja dissi complessivamente e segnando traccie generiche: si venga a narrarne più da vicino la storia sino alla sua soppressione; poscia dei due arcivescovati si parli di Gorizia, colle odierne sue suffraganee, e di Udine.

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AQUILEJA

Sulla sponda del fiume Natisone, dieci o dodici miglia, a un bel circa,

lungi dalle spiaggie del mare Adriatico, piantarono i romani nell'anno 568 di Roma una città, quasi antemurale contro le irruzioni dei barbari del settentrione, e di bellissimi edifizii l'arricchirono e di numeroso popolo la empirono, e vi mandarono a governarla Publio Scipione Nasica, Cajo Flaminio e Lucio Manlio Acidino. Cresciuta col tempo e divenuta ricca e potente, servì spesse volte di ameno soggiorno agl' imperatori pagani, che vi si trattennero lungamente. Irrigata nella pienezza dei tempi dalla predicazione evangelica, rigettò il superstizioso politeismo de' suoi dominatori terreni ed aprì gli occhi alla luce di verità, a cui la chiamava il celeste Signore. Inaffiata per ben tre secoli del sangue dei magnanimi suoi figliuoli, che suggellarono col sacrifizio della vita la fede cristiana, respirò alfine con tutto il mondo l'aura di libertà e di pace, all' ombra dell' imperiale protezione del pio Costantino. Ravvolta per più secoli nello scisma, e poscia riconciliata coll'unico supremo pastore visibile della Chiesa di Gesù Cristo; insignita di spirituale insieme e di temporale potestà, esercitata dal suo patriarca; impegnata non di rado in guerre difficili; decaduta dal suo splendore, invasa dai barbari, distrutta, rifabbricata; abbandonata da' suoi prelati, che raminghi per più e più secoli soggiornarono nei luoghi men disagiati del suo territorio, ridotta in fine alla condizione di meschinissimo villaggio, malsano asilo di pescatori e di marinari: ecco in poche parole l'origine, l'incremento, la decadenza, la fine della famosa AQUILEJA.

Vol. VIII.

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Piacque a taluni derivarne il nome dalle aquile romane, ch' erano le insegne del popolo di Quirino, ed a tale proposito Lucano scriveva:

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Altri invece lo trassero dall'affluenza copiosissima di acque, che da per tutte le parti la circondavano. Ma più ragionevole mi pare l'opinione dei primi, perciocchè lo stemma di essa fu sempre un' aquila.

Non è mio ufficio il fermarmi qui a narrare le vicende di Aquileja pagana: gli antichi scrittori le narrarono abbondantemente. Tra i moderni abbiamo l' eruditissimo conte Federico Altan, uno de' più colti ingegni del secolo passato, il quale ne trattò nel suo Saggio della antica storia civile ed ecclesiastica del Friuli.

Ricorderò tutt'al più, sull'autorità di Svetonio, ch' essa, Colonia latina, come la nomino Tito Livio, ovvero Colonia romana, come la disse Strabone, fu dall' imperatore Ottaviano Augusto, che in compagnia di sua mo- · glie più mesi vi dimorò, cinta di magnifiche e forti mura, ed onorata del grado della cittadinanza romana; che Tiberio Cesare le fu prodigo di nuovi privilegi, quasi a ricordanza perenne della nascita di un suo figlio, mentre vi faceva dimora; che qui Vespasiano fu dai militari sublimato alla dignità imperiale; che Giulio Cesare appellavala chiostro e propugnacolo dell'Italia. Ed il poeta Ausonio, annoverandone le distinte prerogative, così ne' suoi carmi encomiavala, siccome la nona tra le rinomatissime città dell' Italia:

Non erat iste locus; merito tamen aucta recenti
Nona inter claras Aquileja celebris Urbes,

Itala ad Illyricos objecta Colonia montes,
Moenibus et Portu celeberrima. Sed magis illud
Eminet, extremo quod te sub tempore legit,
Solveret exacto cui justa piacula lustro

Maximus.

Del suo porto altresì parlano gli scrittori antichi, il quale, terminando alla riva del mare, colà appunto, ove giaceva di rimpetto una piccola isola, che diventò in seguito città anch'essa, e fu celebre e patriarcale, ornato di

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